10 Primi piatti siciliani che non puoi perderti

Su Instagram ormai da tre anni e più tengo questa rubrica Sicil_iaia, ovvero la Sicilia attraverso i miei ricordi, sapori e racconti. Se vuoi dare un’occhiata ai cinquecento post attuali trovi tutto qui.

È capitato molto spesso che ti raccontassi di piatti e non solo di luoghi, leggende e tradizioni attraverso illustrazioni e foto. Certo è che un posto speciale lo hanno avuto sicuramente i piatti a base di pesce, ai quali sono più legati per tradizione familiare. Se mi segui da un po’ sai che non me la cavo molto bene con i primi piatti e con la pasta, anche se ultimamente un minimo sembra essere migliorata la situazione catastrofica; ma solo un po’. Ho deciso di raccogliere quindi qui sul blog alcune ricette perché nella stragrande maggioranza dei casi non sono state pubblicate. D’Estate mi dedico principalmente alla mia terra e alle preparazioni che ti invogliano a visitarla, amarla e farla tua.

Risotto con l’ennese

Il piacentino ennese (piacintinu ennisi) è un formaggio con latte di pecora insaporito da zafferano, che gli conferisce il tipico colore giallo. Leggermente piccante per la presenza del pepe nero il piacentino ennese è uno dei formaggi siciliani più famosi.

Puoi gustarlo con dell’ottimo pane e qualche confettura e miele accanto ma una delle preparazioni più famose è quella del risotto con il piacentino ennese. Semplice da preparare ma d’effetto e apprezzato. Ti dico come lo faccio io.

Soffrigo la cipolla, le carote e il sedano e preparo una base di brodo vegetale con carote, cipolla, sedano e datterini. Giro di sale e poco pepe. Aggiungo il riso e lascio tostare. Sfumo con un vino bianco e poi cuocio il riso e aggiungo il brodo. Insomma farsi spiegare il risotto da una sicula non mi pare il caso. A metà cottura metto il piacentino ennese e chiudo spolverando con scorza di limone non trattata grattugiata sopra. Sto attenta con il sale perché il formaggio è già bello che saporito.
Delle salsicce, in aggiunta, non sarebbe una cattiva idea. Ma se c’è un condizionatore messo a sedici velocità tre e la possibilità di una bella “panzata di sonno” allora sì. Aggiungi pure le salsicce.
La panzata di sonno mi piace tanto come modo di dire. Significa che dormi così a panza all’aria. E così beatamente. Che.
Ti sei fatta una dormita di quelle epocali.

Risotto col piacentino ennese e panzata di sonno. Da segnare tra le cose da fare in Sicilia, no?

Timballo di Anelli

Per chiare ragioni mi sono sempre appassionata alle letture di Verga, Pirandello, Tomasi, Sciascia e un amorevole altro. I lupini e la Provvidenza. Il ballo e il timballo. Neanche ci provo a riassumere perché sì. Uno, nessuno e centomila.
Centomila emozioni che si mescolano. Ricordo di aver inserito Zeno nel mio esame di maturità. Un tema completamente illogico e un po’ delirante che però mi regalò una delle soddisfazioni più grandi di tutta la mia vita. Piccole vittorie, per carità, ma ognuno di noi dà importanza a quello che magari per qualcun altro è niente.
Ogni volta che vedo i timballi vengo catapultata nei salotti barocchi e li immagino sempre come la villa a Bagheria che mi ha rubato il cuore e di cui devo ancora raccontarti. Quelle scale che si intrecciano. Quelle volte piene di meraviglie e i finestroni che finiscono tondi con quei “giummetti” dorati dai fili delle tende merlettate. La cucina siciliana ottocentesca ha sempre amato la cucina francese e i molti cuochi dell’aristocrazia provenivano proprio da lì. Il timballo è magnificente e dal gusto dolce e salato. C’è dentro la crema pasticciera che deve sapere di cannella e sempre la cannella deve essere spolverata sopra con un uovo sbattuto. Il contrasto è onnipresente come nelle cucine orientali che miscelano l’equilibrio. Come nella caponata. Nell’agrodolce. E in quel contrasto che fa parte di tutta l’isola. Ci devono essere i fegatini, il pollo e le uova. Ma anche e soprattutto prosciutto sfilettato con le mani. Chi ci mette i piselli e adesso più che la crema la besciamella. Le uova onnipresenti altrimenti è troppo leggero e poi occorre che tutto sia dorato. Sfarzoso. Ricchissimo. Come un ballo prezioso tra gli scacchi con delle scarpe scintillanti. Per suggellare l’apoteosi della ricchezza più grande: l’amore. Il cibo.
Mi sono messa in testa di fare tantissimi timballi, soprattutto quando arriverà il freddo. Voglio che sia un Natale poetico e dedicato ai merletti, agli sfarzi e all’esagerazione.

Se gli scorsi anni ho fatto il Natale in giro per il mondo servendo nelle mie tavole immaginarie -dove ci sei anche tu- piatti di ogni genere e sorta, adesso ho bisogno di tornare da me. Alla mia terra. Alle origini. Un percorso che sta influenzando ogni fase e parte della mia vita in questo momento.
Oggi ti faccio vedere un timballo con gli anellini siciliani. Dentro c’è la besciamella, il prosciutto e il ragù in cui ho aggiunto anche salsiccia. Poi l’uovo e i piselli. Non sono maccheroni tipo mezze maniche come quelli del Gattopardo ma gli anelli sono infinito.
E dall’infinito volevo cominciare. Dal senso di continuità e appartenenza che mai svanisce.

Risotto alla Marinara

Il risotto alla marinara è una cosa seria e mamma lo sa; quando lo prepara è un rito lento, meticoloso e attento. Il pesce deve essere freschissimo e cucinato per tipologia e mai tutto insieme. Un po’ come la storia della caponata. Prima friggi le melanzane. Poi i peperoni. Poi.
Mai credere che siano passaggi inutili giusto perché si ha tempo di ciondolare. Allora prima lo pulisci tutto per bene e lo dividi nei diversi contenitori che decoreranno tutto il piano cottura. Primi passi in padella i gamberoni mentre in un pentolone vanno le cozze con poco olio e una testa d’aglio che togli. Poi fai aprire le vongole e metti i calamari in acqua bollente. Poi sfumi i gamberoni con un filo di vino bianco e lasci evaporare. Il polpo, anche piccolo, è già lì in acqua bollente e la consistenza la decidi tu. Al sud sai già che lo mangiamo più duro e “calloso” e non morbido che si scioglie in bocca confondendolo con le patate. A tuo gusto, insomma. Una volta cotto tutto il pesce che hai deciso -pensa anche a della polpa di ricci quanto ci starebbe bene ma alla fine di tutto proprio un secondo prima di servire- prendi la tua tua pentola del risotto e procedi con il classico soffritto sedano, cipolla e carota. Con le teste dei gamberoni e anche con un po’ dei vari sughetti puoi fare un ottimo brodo di pesce che ti aiuterà nella preparazione classica del risotto. Metti il riso e tostalo e sfuma con del vino bianco. Poi pian piano aggiungi il brodo di pesce e solo quando il risotto sta finendo la cottura aggiungi il pesce e gira per bene. Il pesce è già stato cotto singolarmente e non necessita di eccessiva cottura.
Puoi profumare con pochissimo prezzemolo a patto che sia tagliato nicu nicu nicu. Piccolo, sì.
E buon risotto alla marinara.

Con uova di spada, muddica e scorza di limone

Uova di pesce spada e muddica con l’odore della scorza di limone. Ed è subito odore di Portopalo e ricordi.

La mollica, è il pangrattato, e lo devi scaldare nella padella fin quando cambia colore. Cuoci la pasta e poi l’abbracci con la muddica. scorza di limone ed uno dei primi piatti più facili, buoni e semplici, è servito (se ti piace la bottarga di tonno o pesce spada, aggiungi senza indugio)

A pasta ca muddica

Sono la fotocopia di papà. Fisicamente ci ha pensato il dna. Tutto quello che rimane è frutto di piacevolissimo ed estenuante lavoro anche da parte mia. Per carità non sono la Norman Bates sicula e non mi dondolo la notte canticchiando strane nenie in trance ipnotica e transfer. Il fatto è che ammirandolo e stimandolo incosciamente sin da piccola ho voluto somigliargli in molti tratti e in seguito facendoli miei sono diventati un mix evolutivo del suo pensiero, condito da mie idee.
Ho le labbra carnose come lui e tengo il broncio perennemente, soprattutto quando penso. Ho il naso dritto drittissimo e sbatto gli occhi velocemente come in un tic quando fisso. Ho le sue gambe e i suoi piedi; tanto che il mio indice e il medio sono leggermente attaccati alla base proprio come i suoi. Ho le sue mani lunghissime. Ho i suoi denti e il suo sorriso e riconosco sempre quello sguardo. Degli altri.
Quando mi fissano e non vogliono dirmi che: sembri Turi.
Credo non lo facciano perché pensano di rattristarmi magari in un momento poco opportuno ma la verità è che qualsiasi sia la situazione a me fa piacere. Una volta mi hanno riconosciuto senza sapere chi io fossi “ma sei la figlia di Turi?” e io per poco non vedevo schizzare il mio cuore esploso verso il cielo che si spaccava tra le nuvole come un fuoco d’artificio.
Adesso con il passare del tempo mi ritrovo a dire proverbi in siciliano “virennu facennu”, “ogni ficateddu di musca è sustanza” senza neanche rendermi conto e mamma a volte ridacchia. A volte si commuove. Ed è così bella quando mi stringe e dice: siete la cosa più bella della mia vita. Mi piace il plurale. Ti fa sopravvivere.
Anche nei gusti chiaramente ho delle similitudini con papà. E qui, oltre al dna, c’è un bel carico di immedesimazione inconscia da parte mia. Pur non rendendomene conto sin da piccola credo di averlo voluto prendere a esempio per molte cose. E sai cosa mi faceva arrabbiare di più? Che a lui piacesse da impazzire la pasta.
Ogni volta che la mangiavo mi chiedevo “ma come fa a piacergli?”. Era una tortura. Non mi piacevano gli spaghetti. Neanche i maccheroni.Neanche i maccheroni. E neanche una forma che fosse una. Mi costringevo. Mi allenavo pure ma niente. Al massimo la pastina ma la pasta era una forma di tortura. Anzi no; era una tortura. Fino a quando mi sono rassegnata al fatto che in questo non potevamo somigliarci. Scrivere di me bambina sta portando alla luce moltissimi ricordi che forse non avevo ammesso neanche a me stessa. Vengono fuori così. Sincere ammissioni.
Papà amava la pasta più di ogni altro cosa, insieme al pesce. La scuma (devo parlartene), spaghetti pomodorino fresco e la norma. Gli spaghetti con i ricci e quelli con l’aragosta. Per non parlare degli spaghetti aglio olio e peperoncino e quelli all’amatriciana. Aveva fatto il militare a Roma e in Sardegna e qualsiasi primo romano o sardo lo faceva uscire fuori di testa.
E io che ho sempre provato un’antipatia fortissima per i primi -e che per questo faccio fatica a cucinare perché oltre a non averli mai mangiati non sono allenata a farlo- volevo disperatamente fargliene un buon piatto.
Non sono mai riuscita a servirgli un piatto degno di questo nome. Pensa che qui quando faccio i primi, se mi leggi da un po’ lo sai, scappano tutti a gambe levate. Ma forse quello che mi viene un pochino meno peggio è proprio lei: a pasta ca muddica. E a papà piaceva così tanto.
Che la muddica sia il pangrattato lo sappiamo, ormai. E che vada bene su tutto, pure. Uno dei primi piatti più gustosi e famosi nonché rappresentativi della Trinacria tutta è la pasta con le sarde, che sì ha la muddica.
A pasta ca muddica, semplice e senza niente altro è uno dei simboli indiscussi delle tavole sicule. Dalla punta estrema occidentale fino a quella orientale, a pasta ca muddica è una certezza. Si tratta semplicemente di tostare il pangrattato in una padella rovente e poi condirci la pasta. Aggiungere il formaggio a propria discrezione ma tra pecorino, ricotta salata e infinite meraviglie c’è l’imbarazzo della scelta. – Quando ero piccola volevo somigliarti a ogni costo perché credevo che ti sarei piaciuta di più. Ma tu me lo hai sempre detto che ti piacevo in ogni modo; soprattutto quando non ti somigliavo. Siamo la stessa cosa anche quando diversi, amore mio.

La pasta Etna

La Pasta Etna: pennette al nero di seppia come lava, ricotta salta come neve, pomodorini come lava. E un giorno di questi prepariamo insieme nelle storie il risotto Etna.

Dell’Etna in sé vorrei parlare un’altra volta perché dovrei prendermi due giorni di ferie per farlo. E non basterebbero. L’Etna, indiscutibilmente protagonista di tutto quello che ruota anche intorno a sé, fa da vetrina a un ambiente unico e incredibile con una straordinaria varietà di paesaggi naturali. Un ecosistema molto particolare e affascinante dove a fare da sfondo ci sono venti comuni che fanno da ingresso alla maestosa e incredibile Etna, che è femmina in quanto “a muntagna”. Muntagna nel senso assoluto di unica e sola. In questa area immensa del parco naturale dell’Etna con i suoi comuni si possono ammirare zone completamente diverse tra di loro; come sempre accade in tutto quello che riguarda la Trinacria non vi è mai uno stile unico ma una miscellanea che a volte ti può pure sembrare completamente folle e senza criterio. Tra betulle, faggi e se sei fortunato colate mozzafiato (Ti dico però che a muntagna durante il periodo estivo, statisticamente, ti dà il benvenuto con dei fuochi d’artificio naturali nel cielo tra fumi e tremolii del terreno) potrai scegliere diversi sentieri e percorsi, godere di aree attrezzate e seguire dei veri e propri itinerari, fare escursioni che ti porteranno sulla Luna perché è questa l’impressione. Lo scenario vulcanico somiglia moltissimo al suolo lunare. Visitare la patria del pistacchio, Bronte, e pure la deliziosa Maletto famosa per le fragole e poi ancora Linguaglossa e Randazzo dove ti ho detto già che puoi gustare la pluripremiato -a ragion veduta- gelato migliore di tutta Catania e provincia.

A Pasta co Niuru

Il segreto della pasta co niuru (nero) di siccia (seppia) è il concentrato di pomodoro ma non lo dire a nessuno. Te lo dico come fa mamma quando si avvicina e ti sussurra le cose. Il concentrato di pomodoro. Non la salsa, mi raccomando. E te lo ripeto come la mamma che quasi diventi pazza perché vorresti urlare “ho capito!”. Ma è nella ripetizione fastidiosa che si crea la tradizione. La raccomandazione snervante e continua che ti inculca concetti e segreti.
Il concentrato di pomodoro. Se non hai quello inutile parlare di pasta con il nero. E se vuoi usare barattoli già pronti, inutile pure. Il santo pescivendolo di fiducia ti deve dare la sacca o al massimo romperla lui e metterla in un bicchierino, altrimenti niente.
La pasta con il nero viene ripudiata da un punto di vista visivo. Il nero spaventa, angoscia e intimorisce. Il gusto però è esattamente l’opposto. La paura di sporcarsi i denti, i vestiti e pure il musetto scomparirà alla prima cucchiaiata.
Si deve soffriggere pochissima cipolla e l’importante è che sia tagliata in modo microscopico a dir poco. Mettere le seppie perché se ci sono i pezzettini piccoli è ancor più buona e sfumare con del vino bianco. Vai di segreto: concentrato di pomodoro poco pochissimo e giri. Poi metti da parte e prepari la pasta. Unisci tutto e il nero alla fine. Anche il risotto, come ti ho detto fino allo sfinimento, viene buonissimo con il brodo di pesce. E se ci metti sopra un po’ di pomodorino e pure una grattatina di ricotta salata fai il Risotto Etna che stupirà amici, parenti e pure un po’ te.
Ogni volta, te lo assicuro.

La pasta con il nero è per i coraggiosi. Per chi non ha paura di mangiarla liberamente senza tanti complimenti e paturnie. Io, conoscendomi, a prescindere dal fatto che non fa parte della mia alimentazione avrei problemi a mangiarla. Perché sì, mi preoccuperei del sorriso. Amavo -anche- di papà il suo dolce fregarsene e arrotolare e parlare e pure ridere. Del resto: se stai mangiando la pasta con il nero è ovvio che il tuo sorriso sia nero, no?
Come avessi affondato il sorriso nella lava e nel buio. E i denti come stelle che si intravedono scintillanti.La pasta con il nero è questo per me. Il sorriso di mio papà. Una notte piena di stelle. Papà aveva una bocca bellissima. Come il cielo pieno di luce, del resto.
Mai buio.

La Pasta col macco

Sai che ho una passione smisurata per il macco di fave. Ma cos’è? Fave secche spezzate che cuoci in acqua -non troppa- fin quando si sfaldano definitivamente creando una crema deliziosa; crema che poi puoi aromatizzare con il finocchietto selvatico qualora fosse il periodo (finito, ahimè, in questo momento), rosmarino o semplicemente con olio extra vergine d’oliva e una girata di pepe fresco. E tanto sale.
Si può fare anche il macco di fave fresche, neanche a dirlo. Stesso procedimento. Lo amo. Lo amo come poche cose al mondo. È tra i miei piatti preferiti insieme ai ceci, ai broccoli e ai cavolfiori. Dopo il fortissimo dimagrimento sono passata dal junk food sfrenato al ritorno dei sapori antichi. E ne sono felice e devo ammetterti anche orgogliosa. Se dieci anni fa mi avessero detto che avrei mangiato macco e cotognata, per non parlare della mostarda, mi sarei fatta una risata rumorosa.
Il macco è delizioso e qui in casa lo preparo spessissimo in tutte le stagioni -con le fave secche intendo- e chiunque lo abbia provato (forestiero, dico) ne è rimasto folgorato. Nella sua semplicità è sorprendente. Si può servire fondamentalmente in tre modi: così semplice dopo averlo ridotto in purea (una delizia! Ticchetto e penso che voglio correre verso il frigo, ti dico solo questo), con la pasta -ovvero tuffato dentro la pasta simil tagliolini ma anche pasta corta- in modo che formi una crema compatta o fritto. E sul fritto ci sono due varianti tradizionali famosissime. Mi spiego meglio. Almeno spero.
Il macco, come la polenta, cementa raffreddandosi. Però non si uniforma perfettamente come la polenta e quindi non puoi tagliarlo e arrostirlo, per intenderci. Si sfalda un po’. Però a tocchetti e cucchiaiate puoi friggerlo e tieniti pronto: puoi friggerlo con tutta la pasta.
Questa è una vera leccornia da provare, di una semplicità e bontà imbarazzante. Dopo aver fatto la pasta e tuffato dentro il macco, giri per bene e lasci raffreddare. Una volta compattato il tutto dopo il tempo di raffreddamento, taglia e friggi in olio bollente.

Bisogna provarlo per capire la bontà di questa delizia. Ti assicuro che non è difficile da preparare.
Sul blog ti ho raccontato anche delle papuzze ma qui no. Ma sai cosa faccio? Ti lascio così. Ne parliamo un’altra volta perché io devo correre verso il frigo e mangiarmene subito un piattone.
Mi piace semplice senza nulla. Senza finocchietto. Senza rosmarino. Senza nulla. Solo con una girata di pepe e a volte metto un po’ di scorza grattugiata di limone. Una delizia che porto nel cuore insieme a ricordi incancellabili e di rara bellezza.

La pasta col pistacchio

Niente di più buono e semplice: sgusci i pistacchi -quelli di Bronte sono di impareggiabile bontà- e li frulli con tanto olio extra vergine d’oliva e un po’ di parmigiano fresco grattugiato sul momento. Aggiungi un pochino di basilico e assaggi. Devi assaggiarlo, sentirlo e dosarlo come preferisci. Senza aglio, perché mortifica il gusto dei pistacchi che deve dominare. Condisci la pasta e metti sopra un po’ di pistacchi grattugiati. La delizia infinita!

A pasta ca norma

Fai ballare nell’olio bollente le melanzane, prepari una salsa di datterini profumata al basilico e poi chiudi tutto con una nevicata di ricotta salata. La Norma è poesia e ha i colori di catania, il nero della pietra lavica, il rosso della lava e il bianco delle nuvole tra l’azzurro del cielo e del mare.

Se mi leggi da un po’ sai che sulla Norma ho detto e fatto tutto. Ho dedicato racconti, video, infiniti post. Se hai voglia di leggere qualcosa in più a riguardo basta cercare sul tasto “cerca” che trovi in home page.

Questo viaggio senza fine che è la mia amata isola magica.

Senza dimenticare A pasta che Taddi.

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