È Estate ed è tempo di #siciliaia, ovvero in Sicilia con iaia, che è partito lo scorso anno. Un Tour attraverso i sapori, i ricordi e le leggende di un’isola che non smette mai di stupire. Se ti fa piacere e vuoi leggere tutti i post su instagram che ho scritto puoi seguire l’hashtag con #siciliaia. Ho pensato di fare una piccola raccolta anche qui sul Blog delle ricette di Fernanda, la mia meravigliosa mamma. Sto scrivendo moltissimo, ultimamente, su instagram (il secondo profilo iaiaguardo) e inaspettatamente -con mia enorme gioia- sta crescendo e riscuotendo successo. Per me il successo, sai già, non è il numero in sé ma le interazioni, le confidenze, i messaggi privati e chiaramente anche quelli pubblici. Capisci che stai facendo un buon lavoro del resto solo così. E ti incentiva a continuare e fare meglio quindi è sempre e solo grazie a te che leggi. Tutto questo non esisterebbe.
Il secondo profilo iaiaguardo su instagran è partito come un rifugio e pian piano ha preso un’identità. Un frullato di me. Una nuova avventura che mai avevo compiuto su instagram che sino ad adesso era stato solo ed esclusivamente visto e raccontato dagli occhi di maghetta.
Ti racconto quindi un po’ di piatti a base di pesce, oggi. Sono ricette che puoi trovare nei ristoranti o semplicemente replicare in casa quando hai voglia di ritornare nella mia isola. Ormai anche tua.
La Torta di masculini
La torta di masculini (su IGTV trovi il video) è un piatto che non conoscono in molti ma ogni volta è sempre un grande successo. Una delle regine indiscusse della torta di masculini sai chi è? Mamma! Credo sia uno dei suoi cavalli di battaglia e chiunque l’assaggi le chiede sempre la ricetta o molto più semplicemente di rifarla.
Mi diverto tantissimo a farmi spiegare le ricette da mamma, lo sai. Si arrabbia quando le parlo di quantità, di temperatura del forno. Mi manda amorevolmente a stendere i panni perché il suo motto è: cucinare. Senza ingredienti, aggeggi elettronici, fruste, misurazioni o solo il cielo sa cosa. Devo ascoltarla, memorizzare e capire. Non devo chiedere troppo. La ricetta si deve sentire nel profondo. Quando ha visto la spatola per dolci con il termometro incorporato mi ha guardato delusa come poche volte in vita sua. La ricetta te la spiega lentamente e con dodicimila aneddoti e spiegazioni ma se desideri qualche chiarimento più tecnico: ti fissa con quegli occhi neri come il carbone con somma disapprovazione. Ora. Mamma è qui seduta accanto a me e ti lascia la sua ricetta della torta di Masculini a patto che:
– Non devi chiamare i Masculini: alici. Perché sono masculini (inattaccabile)
– Non devi chiamare a muddica: pangrattato. Perché è muddica (inattacabile parte seconda).
– Non devi spaventarti per l’accostamento formaggio-pesce (attaccabile ma possiamo spiegarti)
Faccio sempre una gran fatica a concepire l’abbinamento del pesce con qualsivoglia formaggio e quando vedo mettere il parmigiano sulla pasta con la vongole rischio di andare in iperventilazione acuta. In questa ricetta però il siculo ammette. Sepofà. Hai la benedizione di tutta la Trinacria, amico mio.
La spiegazione di Nanda
(abbreviata perché la sua durava dodici ore):
Pulisci il masculino. Togli la testa, lisca interna e coda. Lava per bene. Ho detto lava bene? (si vede che ha partecipato a io e le mie ossessioni igieniste?). Sistema tutto il pesce su un piatto e bagna generosamente con dell’aceto di vino bianco. Lascia riposare per dieci minuti. In una terrina versa a muddica, prezzemolo tritato finemente, parmigiano o pepato siciliano grattugiato fresco, aglio schiacciato se piace (facoltativo), sale (non troppo). Prosegui a strati.
Olio. Masculini. Muddica. Olio. Muddica. Masculini. Finisci con muddica (ti ho convinto a chiamarlo mollica il pangrattato?). Inforno a 180-200 per (dipende dalla quantità e dall’altezza, di solito tre strati massimo quattro) fino a quando è dorato tutto ma dovrebbero passare non più di 40-45 minuti.
E se ci metti il galbanino non confessarlo mai a nessuno (l’ha detto mamma. Io mi dissocio)
U muccu marinatu o a puppetta (marinato o a polpette)
U muccu. U neunatu (neonato). Il bianchetto, lo chiama il Torinese. In Sicilia però è U Muccu e delle famosissime polpette parliamo tra un po’. Se mi leggi da un po’, sul Blog, sai già che per me fotografare occhi e parti definite e soprattutto carne in genere, facile non è. E, inutile specifica, per me carne si intende anche pesce. Lo faccio ormai da anni per la mia smisurata passione foodie, che è a tutti gli effetti l’unica terapia che abbia sortito qualche effetto per i miei disturbi legati al cibo, ma te lo dico onestamente non è sempre facile. E in quest’occasione non lo è stato affatto. Raccontare quello che ho di più prezioso e farlo anche e soprattutto attraverso quello di cui ho più paura è una forma di catarsi. Un po’ come disegnare; ma questo te l’ho già detto.
Ho un rapporto complicato con questi pesciolini in particolare. Perché mi ricordano tante di quelle cose belle che non bastano spazio e parole. Il fatto che gli occhi spenti facciano da contorno a tutto questo è un macabro rituale sentimentale a cui mal mi sottopongo.
Quando ero piccolina tentavo di rimetterli in acqua come una novella Frankenstein per rianimarli e anche qui sai, se mi leggi sul Blog, che il mio rapporto con gli animali di qualsiasi genere è sempre stato un po’ questo. Convincere papà a riattaccare la coscia di pollo alla gallina per farla camminare bene e ributtare in mare il Neonato perché era troppo piccino e la mamma e papà lo stavano cercando. Diciamo che sono sempre stata una rompiscatole che si è fatta sempre tante storie in testa.
Uno dei ricordi più belli che ho, legato a questi piccolini, voglio raccontartelo oggi. Il cuore è già stretto stretto in una morsa. Non so come raccontarlo bene, allora lo faccio così di getto come sempre e senza pensarci troppo.
Mamma, calabrese, ha sempre mangiato più carne rispetto al pesce, chiaramente. Venuta a Catania davvero da piccola ha mantenuto, insieme a tutta la sua famiglia calabrese, la tradizione della carne. Papà, siciliano doc, al contrario ha sempre prediletto il pesce nella sua dieta.Mamma era innamorata come una volta. Il suo unico uomo e sogno di sempre. Turi con il completo alla John Travolta in bianco, che lei stirava nella smacchiatoria del padre, lo vedeva passare con la cinquecento. Hanno litigato tra presse per pantaloni e percloro. E si sono pure innamorati. Papà le ha poggiato un anello su un asse da stiro. Le ha sorriso. Si è girato e se ne è andato. Papà era quel principe azzurro un po’ musone e di poche parole ma estremamente romantico che ogni ragazza sogna, diciamolo.
Quando si sono sposati papà ha cominciato a chiedere, sotto le insistenze di mamma, pranzi e cene a base di pesce. Mamma, orgogliosa testona, non sapeva da dove cominciare. Era abituata a friggere e arrostire carne in tutte le salse ma di pesce proprio non se ne parlava. Papà, sportivo da sempre e con la fissa della corsa, voleva pure mantenersi in forma e c’era questo macigno che aleggiava nell’aria: cibo sano e leggero.
A MAMMA? CIBO SANO E LEGGERO?
Papà non aveva ben chiaro cosa lo avrebbe aspettato a tavola ogni giorno per i quarant’anni che sono stati sposati.
Un giorno papà portò del muccu a mamma. Gli spiegò che gli piaceva anche crudo così. Marinato con limone e un filo d’olio.
Andò a lavorare, un bacio a dopo. Mamma quando racconta questa storia ride sempre rumorosamente e poi vedi quelle lacrime che le scendono agli angoli. Le stesse che stanno scendendo a me, sorridendo, in questo momento. Mamma vedendo tutti questi micro occhietti ebbe un coccolone. “E quanto tempo impiegherò per toglierli tutti?”.
Non aveva mai visto il neonato. Ma soprattutto non chiamò né sua mamma né sua suocera, che ha amato come una madre e che ha ricevuto un amore ancor più forte e sincero da mamma, perché intestardita dal fatto che voleva riuscirci da sola.
Morale della favola?
Papà la trovò lì. Esausta. Mentre con una forbicina piccolissima cercava di togliere gli ultimi occhi dal mucco. Un chilo di muccu, inciso; che è davvero tantissimo.
Papà ridendo tra amici quando ricordava questa storia diceva sempre che in quel momento l’unica cosa che ha pensato è stata “ma chi ho sposato?”.
Quel giorno finì in un abbraccio e in una fragorosa risata.
Ho sempre voluto pensare che sia stato il giorno in cui tutti quegli occhietti spenti si siano trasformati in luce. E che poco dopo sia arrivata io.
Perché tutti mi dicono sempre che ho gli occhi sbirluccicosi.
Merito della magia. Che trasforma orrori in meraviglie.
LE POLPETTE DI NEONATO (I PUPPETTI DI MUCCU)
Il Neonato, oltre a essere servito con abbondante succo di limone, olio extra vergine d’oliva e sale può essere fatto a polpetta. Ecco qui la ricetta spiegata per bene da Mamma:
Servono uova, farina e sale. E pepe, se vuoi.
Semplicissimo: sbatti le uova e metti il neonato lavato e asciugato. La farina l’aggiungi pian pianino ma non deve essere tanta. Non deve sapere di farina ma di pesce. Mamma dice che per un uovo basta un cucchiaio e mezzo (non di più) di farina. E circa 500 grammi di neonato (ma pure 400). Anche qui le dosi non esistono ma mamma ha ribadito più volte questo concetto del “la farina poco. Poca la farina ok?”.
Quindi: poca la farina ok? E se ti piace puoi metterci pure un prezzemolo ma mamma dice che a lei piace eventualmente a parte. Magari uno di questi giorni se le va la riprendo così ti faccio vedere. Tu se non vuoi perderti le puntate in cucina -perché ogni giorno ce ne sono parecchie- se ti fa piacere seguimi su iaiaguardo instagram nelle storie.
Gli occhi di bue
Giusto qualche giorno fa ho scritto qualcosa sugli Occhi di Bue quindi se ti fa piacere trovi tutto qua.
Gli occhi di bue mamma li fa rigorosamente al barbecue o sulla piastra con una girata di olio, sale e limone. Sono buonissimi anche con la pasta.
INSALATA DI GAMBERETTI ALLA NANDA
Mamma bbollenta i gamberetti poco pochissimo in acqua bollente e poi aggiunge pachino, cipolla rossa di Tropea (mamma è calabrese e la cipolla rossa di Tropea la mette ovunque) e sedano tagliato a dadini piccolissimi. Il segreto? Aggiungere pochissimo aceto all’olio extra vergine d’oliva, sale e pepe. L’aceto deve essere bianco e davvero poco. Giusto un tocco. A chiudere un po’ di succo di limone ma senza esagerare. I gamberetti devono essere quelli freschi belli grandi, che ti confondi pure e non sai se siano in realtà gamberoni. Semplice e d’effetto è tra le ricette estive che più ho visto portare in tavola.