Sparizioni, ritorni al vegetarianesimo, biscotti speciali e Auguri Amore Mio. Papà.

Oggi 30 Gennaio sarebbe stato il compleanno del mio amatissimo e unico infinito amore papà. Riprendo a scrivere non a caso quindi. Per la prima volta in quattordici (quasi) anni di blog, di cui otto (quasi) esclusivamente di food, non ho scritto il post del primo Gennaio con i pancake, quello degli auguri, la calza della befana, le tombolate di fine e inizio anno e di questo mi scuso profondamente: fosse solo per la preoccupazione che ho destato, di cui mi dispiace immensamente e che al contempo mi rende onorata e grata perché riflesso di un affetto incondizionato -e vorrei sottolineare ricambiato e moltiplicato- che ho sempre sperato di meritare, lo stesso che diventa una solidissima base per cercare di fare sempre meglio nel mio piccolo. È stato un Natale iniziato troppo presto, avendo fatto l’albero a inizio novembre, e finito ancora prima. A pochi giorni dal Natale, come avevo accennato nel mio ultimo post, Koi non è stata bene e tra ecografie, supposizioni e preoccupazioni anche l’apparecchiatura natalizia e la festa della Vigilia nel salone vittoriano, a cui io, Guido e Peppe in particolar modo abbiamo lavorato duramente per un anno, è stata frettolosa, triste e poco curata. Non ci siamo lasciati troppo abbattere e il Natale lo abbiamo festeggiato ugualmente; anche e soprattutto perché la mia Koi non si è arresa neanche un attimo. Ho ballato con Nonna musica disco anni 70 e 80 e solo questo è valso la serata e la fatica emotiva. Koi, come dicevo, fortunatamente si è ripresa piano piano e la diagnosi è stata migliore di quello che si era previsto ma nel contempo è arrivata una bella tiroidite e l’influenza che mi ha immobilizzato a letto per due settimane tra febbre, tachicardia, ansia e non ti nascondo anche molta preoccupazione per dettagli che è inutile trascrivere in questo contesto. Inoltre un brutto incidente a una mia carissima amica che mi ha destabilizzato a dir poco.

In questi frangenti, e solo in questi sottolineerei purtroppo, ti ricordi quanto la frenesia, l’organizzazione e i programmi siano oggettivamente delle chimere. Un assioma? Sì. Ricordarsene, per certi versi come è giusto che sia, nella quotidianità pur essendo un assioma è un’altra cosa. Come se non bastasse mentre i miei ormoni ballavano “Funky Town” un po’ come me e la nonna -durante la vigilia di Natale-  portandomi crisi di pianto immotivate, tristezza infinita e sbalzi preoccupanti che mi facevano apparire al mondo esterno come una novella Jack Nicholson, alla nonna si è fermato il cuore per qualche istante. Una vena ostruita. Una corsa in ospedale. E tante brutte notizie che ci hanno fatto credere di dover cominciare il 2018 con l’assenza definitiva di quella che è in assoluto il pilastro portante di tutta la mia famiglia. Sono ottantotto anni tra esattamente tre giorni, calabrese, forte e presente mentalmente più di quanto lo possano essere persone molto più giovani. Vederla passare dal saltellare con i Gazebo e disco anni 80 al respirare attaccata alla bombola d’ossigeno con gli occhi spenti è stato raggelante. Mi ha catapultato nuovamente in un incubo. Intendo incubo semplicemente visivo perché quello emotivo lo vivo ogni giorno; il trauma di papà non mi ha mai abbandonato e a fatica ho capito che sarà così per sempre. Ognuno, come in tutto, riesce a trovare un equilibrio (anche semplicemente apparente) sempre diverso. Può toccare sì delle corde, e pure delle note, simili a qualcuno di diverso da noi ma diciamolo: la composizione musicale del dolore e dei sentimenti non è mai uguale in nessun caso.

Chi mi legge da un po’ sa che non amo condividere il dolore. Neanche una febbre. Ho fatto giusto una storia su Instagram a inizio dell’anno perché la forza -e solo di questo si trattava- di rispondere a tutti proprio non ce l’avevo; una volta che mi è stata diagnosticata la tiroidite ho tenuto a tranquillizzare perché spesso la non comunicazione porta a immaginare cose ben peggiori da quelle realmente accadute.

Adesso che nonna sta meglio (i dottori dicono che è davvero una roccia e che un’altra non ce l’avrebbe fatta), adesso che Koi sta meglio (mi sa che ha preso dalla bisnonna, fortunatamente) e adesso che mi sono imposta e convinta di stare meglio (mi sa che non ho preso da loro sai?) ho trovato l’unico input di forza per ricominciare e ripartire. Del resto come potevo non riceverlo in questo giorno così importante, seppur doloroso?

Mi sento un po’ spaesata, posso confessartelo? Non scrivo da quasi un mese e nonostante sia un po’ come la bicicletta forse una piccola rotellina oggi mi occorrerebbe. Che poi non ho mai avuto le rotelline laterali di sostegno, sai? A parte il triciclo quando ero piccina intendo, perché papà non ha voluto assolutamente che io le avessi nella bici “da grande”. Come quando a mamma ha assolutamente vietato di darmi i braccioli e già a tre anni sapevo nuotare sola. Anche a due diceva papà, ma a lui piaceva un po’ esagerare (anche a me, dai). Cielo, quanto mi manca. Anche adesso non riesco a smettere di avere quel nodo alla gola e quelle lacrime. Quelle lacrime che cerchi di ributtare indietro quasi a voler significare di avere un contegno. Macché.

Sarà sempre così e non voglio rimproverarmene perché questo dolore della sua assenza che mai mi abbandona diventa, è vero, una solida base per tutto il mio masochismo e tristezza ma al tempo stesso la forza di reagire. Oggi sostanzialmente sto applicando il secondo utilizzo di questa solida base, insomma.

Vorrei raccontarti di quello che è accaduto in questo mese. Delle scelte che ho preso e delle sensazioni che mi hanno portato a diventare, come accade a tutti del resto, ancora diversa. Che “più grande” credo sia sbagliato; non voglio diventare mai grande. Magari semplicemente esserlo qualche volta ma ho fatto la promessa a papà che sarei rimasta anche quella bimba di tre anni senza braccioli. Quella bimba che credeva di diventare una stilista famosa a sei. Quella bimba che continuava a dire “da grande voglio fare la scrittrice e la disegnatrice”. Non ho mai cambiato idea. Mai. Che fossero vestiti o case. Che fossero racconti di me o di altri. Inventati e non. Io da grande volevo fare la scrittrice e la disegnatrice. Non ci sono riuscita, sai? Ma ogni giorno ci credo. Ci credo che un giorno se lo vorrò davvero accadrà.

Credo che, al contrario di quello che si possa pensare in questo ridicolo periodo storico, io non abbia competenza alcuna. Perché non ho studiato per averle. Non sono due corsucci e tre aggiornamenti o come nel mio caso un libro pubblicato per la più grande casa editrice italiana e numeri/contatti/impression ma uno studio che mai finisce. Io non sono oggettivamente quello che volevo essere ma a modo mio, pur facendo altro, ci credo. Ci credo sì che un giorno, volendolo, ce la farò.

Spesso mi chiedo: ma cosa sono allora?

Rifacendo la carta d’identità il tipo del comune conoscendomi ha scritto “imprenditrice”. Mi si  è gelato il sangue. Non me lo ha chiesto. Mi sono sentita impotente e attonita. Volevo avvicinarmi al vetro e dire “scusi può scrivere che volevo fare la scrittrice e la disegnatrice e che ci sto lavorando e che?” ma inesorabile la sentenza era arrivata.

Anche ieri dal notaio alla voce “professione” mi sono trovata per certi verti costretta a scrivere: imprendi…

Se lo era papà però perché lo sono anche io? Si fa per eredità? Anche qui c’è una lobby? Papà lo è diventato davvero ma con tantissima fatica, lavoro, sudore. Ma io? Io che volevo fare la scrittrice e la disegnatrice con studio e competenze mi ritrovo a esserlo per alcuni mentre per altri sono ancora un’altra cosa. E quasi sono io a dover convincere che non è così. Una vita a sapere cosa sono ma a cadere costantemente in una sorta di commedia degli equivoci.
Ogni anno nel primo post che scrivo dico sempre che ci saranno tante novità. Non voglio farlo quest’anno, sai?

Non voglio e tecnicamente non posso. Mi sono resa conto che il web e i social diventano sempre qualcosa di più distante dal mio modo di essere, pensare e concepire e sono quasi certa di voler fare dei piccoli passi indietro. Se mi segui su Instagram ti sarai reso conto che ho preferito perdere molti follower e interesse da parte del “””pubblico””” e dedicarmi a un account con neanche cinquemila followers, rispetto a centocinquantamila non comprati sottolineato, giusto per sentirmi meno in ansia e sovraesposta. A un certo punto è cominciata a girare la testa con tutti questi numeri e la cosa, pur lusingandomi, mi ha terrorizzato invece che fomentato. Non giudico chi prova sensazioni diverse e su queste costruisce certezze, ci mancherebbe. So però che a me è accaduto il contrario. Il range maggiore mi ha spaventato e mi ha fatto perdere le certezze e non il contrario, come pare di norma accada. Questi passi indietro consistono credo nel voler tornare qui. Dedicarmi con maggior forza e vigore a tutto questo. Alla mia prima forma di comunicazione, quella che mi è rimasta nel cuore, ovvero sul Blog. Una forma più lenta, riservata, per una nicchia, un’élite. Queste storie veloci come flash e con un contenuto interrotto che ti fa sentire inadeguata per certi versi proietta qualcosa che non mi rispecchia. Una ricetta nelle storie di Instagram fa perdere tutta quella poesia che potrebbe esserci in un lungo filmato ininterrotto di chiacchiere e deliri come accade invece in una delirante videoricetta o senza neanche metterlo a paragone con un flusso di parole, immagini e illustrazioni -per quanto mi riguarda- come accade infine sul Blog.

Ho sempre voluto essere una cucina dove ti siedi e. E deliri con me. In un flusso di idee, emozioni e racconti. Non ho mai voluto “essere una ricetta”, una preparazione, una maestrina che ti dice cosa fare, come fare, quando farlo e perché farlo. Ho sempre voluto essere un’amica, pur conoscendone il valore profondo e il significato, che trovi cliccando quando ne hai bisogno. Forse ho sempre voluto essere quello che nei fatti e nella realtà faccio fatica.

Se i blog siano destinati a morire questo non lo so, ma la cosa più importante sinceramente è che non me ne importa. Come non me ne importa che non piacciano, che le persone non li leggano, che i post siano troppo lunghi e che la comunicazione/i social media strategist dicano altro. La strategia comune non deve mai surclassare quella personale. La mia strategia personale è: essere serena, felice e sentirmi ancora quella bimba piena di sogni. Non voglio ringraziare per ennemila impressions credendo che sia quello un successo ma rispondere a un commento in modo vergognosamente prolisso, scusarmi perché ho perso la mail, rispondere dopo un mese o due ma sempre dando importanza e valore al singolo.
Forse è un retaggio del lavoro “imposto”. La mia azienda (quanto costa dirlo) fa il dettaglio e l’ingrosso. E so che una lampadina molte volte ha più valore di una fornitura a un ente.

 

Quindi non so se ci saranno tante novità perché sto prendendo le misure, facendo dei passi indietro e decidendo cosa sia meglio per me. E sempre per questo motivo, cambiando argomento per non ammorbarti e perché credo di aver detto tutto, ne approfitto per accennarti -poi farò dei post appositi e dedicati sicuramente- che per motivi di salute ho deciso di forzarmi a ritornare a un regime semi vegetariano. Semi vegetariano perché certamente la mia dieta rimarrà quella abituale, ovvero totalmente veg. Non so se riuscirò a inserire le uova (anzi lo so e la risposta è NO categorico ma voglio fare quella che ha la mente aperta. Mi reggi il gioco per favore?) ma una tantum del latte sì. Per latte intendo giusto per andare nello specifico: yogurt. Magari bianco e greco qualche volta per una piccola assimilazione di proteine animali che stando ai fatti mi aiutano. Dicevo appunto che non voglio ammorbarti più di quanto abbia fatto ma tra accertamenti, analisi e compagnia bella il mio endocrinologo (che amo, di cui mi fido ciecamente e che mi ha sempre seguito) mi ha indirizzato verso questa strada. Quest’anno saranno praticamente vent’anni che faccio un regime vegetariano -con questa parentesi dal 2010- vegana. A conti fatti (mamma mia non ci avevo mai pensato!) altro che parentesi! Venti anni quasi ben ripartiti in un bel cinquanta e cinquanta, mancava poco ma.

Ma, appunto. Ho fatto questa scelta perché potrebbe aiutarmi a stare meglio. Perché potrebbe aiutarmi con dei valori che sono importanti. E perché, te lo dico, potrebbe darmi alcune chance in diverse situazioni personali su cui non mi soffermo (ma ci siamo capiti mi sa) che al momento non ho. Non che uno yogurt possa cambiare un mondo ma senza andare troppo nello specifico: se un dottore mi dice che sto andando male e che non va bene e soprattutto che potrei fare meglio io semplicemente lo ascolto. Con quella dose di infinita umiltà. A volte ne occorrerebbe un minimo per salvare situazioni disastrose, del resto. Comunque di questa novità ti parlerò. Come ti parlerò anche di come questo possa essere una risoluzione e al tempo stesso un grosso problema per la mia intolleranza ai latticini. Piano piano il corpo si abituerà mi dicono -specifico nelle mie condizioni- e tanto mi basta per provare.

Ti ho annoiato abbastanza? Spero di no ma nel caso me ne scuso. Un piccolo aggiornamento dopo un mese era dovuto e soprattutto voluto.

Già da oggi mi metterò a completa disposizione per rispondere alle centinaia, perché di questo si tratta se non addirittura più ma non vorrei fare quella che vuole a tutti i costi esagerare, di mail/instagram/messaggi che mi sono arrivati. Non amo particolarmente concentrare l’attenzione su di me in questo modo, anzi tutt’altro. Solo che davvero è stato molto difficile e per certi versi lo è. Non per questo però bisogna mollare, mi direbbe papà e avrebbe ragione. Come sempre, sottotitolo.

Ogni anno per il 30 Gennaio faccio sempre qualche ricetta che amava particolarmente papà. Di questi biscotti con l’avena ne ho parlato e riparlato milioni di volte e basta mettere nel campo cerca “biscotti avena” che ne vengon fuori davvero di tutti i tipi: veg e non. Oggi te li propongo in una versione con i cranberry, il cioccolato fondente e i fichi secchi che onestamente sono piaciuti tantissimo.

E che in cuor mio sono piaciuti anche a papà.

Auguri Vita mia. Auguri Amore mio. 

 

 

Per 20 Cookies medi

  • 240 grammi di zucchero di canna grezzo
  • 280 grammi di burro morbido a temperatura ambiente
  • 3 uova di media grandezza
  • 360 grammi di farina bianca 00
  • 200 grammi di avena (vengono buonissimi anche con il muesli)
  • 300 grammi di cioccolato fondente tagliato finemente
  • 150 grammi di mirtilli rossi (cranberry o frutta disidratata)
  • 150 grammi di fichi secchi tagliati piccolissimi
  • 10 grammi di bicarbonato
  • un pizzico di sale

Tutto insieme. Forma. In forno a 180. Più facile di così?!

 

Grazie.

Di tutto. Ti voglio bene, ma questo già lo sai.

https://maghetta.it/2018/01/30/biscotti-di-avena-con-mirtilli-rossi-fichi-e-mandorle/

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