Se mi leggi da un po’ sai che in fatto di cinema sono stata definitivamente plagiata dal Nippotorinese ormai tredici anni or sono. Se prima mi facevo andar bene tutto, con lui l’impresa è diventata ardua. Cinefilo d’eccezione (e anche criticone, uff!) ha inequivocabilmente cambiato il mio modo di vedere -e di conseguenza apprezzare- visioni e film. La cosa è strana, sai? Perché io sono una maniaca ossessiva che difficilmente si fa influenzare in determinati ambiti. Ho sempre avuto le idee molto chiare riguardo a quello che mi piacesse o no. E non faccio parte della schiera di donne indecise davanti a una scelta. Scelgo sempre immediatamente e non ho ripensamenti. Se una cosa mi piace accade nel giro di mezzo nano nano secondo. Se non mi piace con il tempo posso per carità ricredermi ma, dai, difficilmente. Ho gusti ben definiti e chiari. Il Nippotorinese come spesso ho raccontato mi ha offerto una visione più vasta per non dire infinita, l’impegno e quel cinema “di nicchia” -odio scomodare il termine ma il preambolo è già sin troppo lungo per quello di cui devo ticchettare oggi- che molto spesso viene visto come solo per intellettualoidi che amano raccontarsi le inquadrature al rallentatore e i piani sequenza. Mi ha fatto innamorate della critica cinematografica e grazie a lui ho conosciuto appassionati e veri geni. Del resto io e il Nippotorinese ci siamo conosciuti proprio in un forum di cinema: Pigrecoemme.
A tal proposito mi permetto di ricordarti che se ti piace il cinema e hai voglia di leggere cose interessanti che non trovi facilmente esiste Slow Film, che è scritto giustappunto dal genio succitato di Giuseppe. Quella che segue è una chiacchierata su film molto leggeri da guardare se sei un appassionato foodie, magari approfittando delle serate natalizie. Perché quindi il noioso preambolo sul cinema impegnato e su come io sia cambiata e blablabla? Per darmi un tono e far credere che blablabla? No. Semplicemente per dire che non sono più abituata alle visioni “commerciali” -sempre per abbrevviare eh- e che non mi emoziono più se non con Wong Kar Wai o Kitano o Kubrick.
Ho dovuto recuperare con Pier (il Nippotorinese sì, perché ogni volta che lo chiamo con il suo nome tutti a dirmi chi è. Mi fa sempre molto ridere) decenni di mancanza culturale cinematografica e una volta fatta la full immersion ho avuto dubbi pure su Pretty Woman. Mai su Dirty Dancing però. Passato del tempo ho cominciato a trovare un equilibrio e capire che non tutti i film possono essere firmati da Wong Kar Wai, che come hai dedotto è una divinità per me e così dovrebbe essere per il resto dei mondi, ma che anche Pretty Woman ha un suo perché. ho mischiato passato e presente e riesco a essere, al contrario di Pier che è antipaticissimo e non ha visto Pretty Woman, una bizzarra via di mezzo tra cinema impegnato e pellicole da dare in pasto a chiunque segue risata isterica.
I titoli che ti propongo oggi appartengono a questi estremi e a quello che sta in mezzo. Se sei un appassionato foodie di certo alcuni li avrai visti ma nel caso contrario ti stai perdendo qualcosa di veramente bello e interessante sotto diversi punti di vista. Sono cinque visioni che puoi facilmente reperire in quanto praticamente tutte presenti nel catalogo Netflix, escluso quello della Signora Toku che però trovi su Sky on Demand.
Amore cucina e curry
Amore cucina e curry, dal titolo originale Hundred Foot Journey, dura 122 minuti ed è stato prodotto in India, Emirati Arabi Uniti e USA. Un film che è un adattamento cinematografico del romanzo Madame Mally e il piccolo chef indiano, che non ti nascondo vorrei leggere. L’autore è Richard C. Morais. C’è una strepitosa -come sempre- Helen Mirren che a me piace tantissimo giusto, per fornire una notizia priva di interesse. Om Puri, Manish Dayal e Charlotte Le Bon. Quando ho visto la locandina su Netflix sapevo già che non sarei riuscito a finirlo perché -per alcuni dei motivi succitati prima e altri ancora che grazie al cielo non ti ho detto- mi sarei annoiata a morte. E invece mi sono ritrovata a ridere di gusto, a innamorarmi delle storie d’amore che nascono e si distruggono tra diversità e passioni comuni. Sino alla fine quando un pianto liberatorio mi ha fatto letteralmente innamorare di questa semplicità. Ovvia, per carità. Nessun colpo di scena. Nessuna inquadratura che ti faccia battere il cuore. Nessuna fotografia che ti faccia ripensare a dei colori ma. Ma colorato al punto giusto, divertente, commovente e seppur scontato, davvero una storia da non perdere. Una famiglia indiana dopo un tragico incidente intraprende un viaggio in Europa in cerca di una vita migliore. Arrivati nel sud della Francia decidono di aprire un ristorante indiano; peccato che si ritrovano a far concorrenze a Madame Mallory -Hellen Miller- che dirige un ristorante stellato di fama internazionale. Amicizia, amore e colore. E quel curry sembra proprio di sentirlo, sai? La fatica e il sudore in cucina. Ho letto da qualche parte che è una versione molto simile a Chocolat in quanto il regista è lo stesso: Lasse Hallstrom. Peccato che io Chocolat non l’abbia visto (e neanche Le regole della casa del sidro), ergo senza alcun tipo di influenza per quanto concerne la regia l’ho apprezzato molto. Con una cioccolata calda, un plaid e i tuoi affetti sul divano questo film sarà una vera scoperta a Natale. E non solo.
La cuoca del presidente
Meno “sdolcinato” e romantico ma non per questo da perdere è sicuramente La cuoca del presidente. Hortense, elegante e molto regale, diventa la cuoca del presidente e quindi cuoca personale all’Eliseo. La storia di una donna appassionata e forte che diventa quasi il cliché della difficoltà che il genere ha in cucina, luogo maschile incontrastato. È una commedia francese e questo già fa capire l’eleganza, i tempi e perché no i possibili dialoghi. La storia è realmente accaduta e parla di Daniele Delpeuch arruolata a fine anni Ottanta. Una storia fondata sulla riservatezza e i ricordi in un continuo flashback che interseca il passato, il presente e chiaramente il futuro. È una storia che parla della rigidità che si deve avere per l’alta cucina. Della dedizione e mai improvvisazione. Di quanto sia importante scegliere gli ingredienti non solo dei propri piatti ma anche della propria vita. Mi è piaciuto inaspettatamente tanto nonostante non ne abbia apprezzato molto la fotografia e alcuni momenti. Ci sono stati attimi che mi hanno toccato il cuore fino allo fine.
Le Ricette della Signora Toku
Non mi dilungherò molto su Toku, che si è fatta largo nei miei ricordi per sedersi e rimanerci. Ne ho parlato diverse volte e nello specifico qui, qualora volessi approfondire. Tratta dal romanzo di Durian Sukegawa (che non vedo l’ora di leggere, sinceramente) questa storia è una vera e propria magia. È proprio il periodo giusto per commuoversi, emozionarsi ed entrare in punta di piedi a far parte anche tu di una favola. Perché di questo si tratta. Trasformare il buio in luce, grazie all’amore e alla cura. Dove i fagioli non sono semplici ingredienti che raccogli meccanicamente dalla dispensa, ma doni della natura capaci di innamorarsi, raccontarsi e soprattutto donarsi. E in virtù proprio del dono che ti fanno bisogna rispettarli. Toku è talmente dolce che potrebbe pure passarti in mente di chiamare tua figlia così. Così profonda e tenera che desidererai diventare come lei, o perlomeno migliorarti. Tra ferite incolmabili, abbandoni e sorrisi c’è un piccolo dorayaki profumato ripieno di fagioli che ti farà dimenticare tutto. Per un attimo anche i dolori più grandi.
Samurai Gourmet
Ero indecisa se inserire o meno Samurai Gourmet, ma se dovessi mai stabilire le visioni più belle di quest’anno sarebbe non ti dico solo sul podio ma addirittura al primo posto. È stata la serie che mi è piaciuta di più. Pure di Stringer Things, per dire. So che stai pensando “cose” su di me in questo momento. Ma sai cosa? Una storia a volte -a mio modestissimo e umilissimo parere- è facile da scrivere. Più complessa è e più diventa “fattibile”. Perché puoi contorcerti tra mille dettagli, inventarti milioni di legami ed estrapolare infiniti colpi di scena. Pure incomprensibili. Per una persona creativa è davvero un giochetto. Poi certo occorre filtrare, “declutterare” come si usa dire in questo momento storico e capire cosa tenere o cosa no. Scrivere un prodotto semplicissimo e al tempo stesso creativo è più complesso. Tirare le somme. Stringere. È difficilissimo. Parlare di un pensionato e di un samurai, come è stato fatto, in un alternarsi di epoche senza cadere nel ridicolo. Essendo interessante come un documentario e al tempo stesso avvincente -per quanto possa esserlo la vita di un pensionato- come una serie tv: impossibile. Certo è che se non mastichi il cinema orientale o visioni del genere tutto potrà apparirti strampalato e a tratti surreale e ridicolo, ma se avrai la pazienza di proseguire e la curiosità di apprezzare qualcosa che è diverso da te e da tutto il resto capirai quale magia, profondità e anima si possano celare dietro una visione del genere. Non fidarti mai di me in generale, perché sono una persona poco affidabile e non ho mai avuto paura di dirlo. Sono scostante, molto egoista e distante ma. Ma fidati di me quando ti consiglio un film o un piatto perché lo faccio sempre con tutto il cuore. Samurai Gourmet non solo te lo consiglio ma te lo consiglio su tutto. Per tutto il resto: ne ho parlato qui.
Julie & Julia
L’ho visto diverso tempo fa. Parlo proprio di anni e avrei voglia di rivederlo. Amo Meryl Streep. È la mia Jack Nicholson in gonnella. Loro due mi hanno rubato il cuore decenni fa e sono ancora lì. Se dovessi fare due nomi farei sempre e solo i loro due. Credo non mi deluderebbero neanche in un film cinepanettone, in un mondo assurdo parallelo. La storia di Julia Child che trasferitasi a Parigi rimane incantata dalla cucina francese e di Julie Powell che apre un blog. Cosa hanno in comune? Nulla apparentemente. Innanzitutto sono due momenti diversi. Il 1949 contro il 2002. Julie ama le gesta di Julia e non solo vorrebbe diventare come lei, ma più di lei. Una differenza generazionale? Non solo. Un parallelismo di due epoche diverse, con due donne molto diverse nell’approccio e nel sentimento unite dal sacro richiamo al fornello.
Non ti nascondo che la scena in cui Julie guarda il suo blog all’inizio quando ancora nessuno era andata a leggerla mi ha fatto stringere lo stomaco. Ho provato le sue stesse sensazioni.
È incredibile come a volte non credere in se stessi sia l’unico ostacolo. Ricordo esattamente il momento in cui ho deciso di trasformare i miei fumetti e parlare di cibo. Ricordo il motivo per il quale l’ho fatto. Sento ancora la paura. Espormi, raccontarmi, cucinare. Io che non sapevo neanche aprire una caffettiera. E forse non la so aprire neanche adesso.
L’ho fatto per me. Esclusivamente per me.
Non l’ho fatto per mostrarmi più brava o per guadagnare qualcosa che non fosse: la mia libertà. Il mio perdono. E l’ho ottenuto. A volte me ne dimentico ma adesso sono più le volte che lo ricordo.
Buona visione. E mi raccomando se ne vedi uno dimmelo! Qui o sulle Instagram stories, che sono i posti più veloci e che onestamente leggo di più. Un bacio.
https://maghetta.it/2017/12/08/foodie-film/